Che cos’è Gioventù Studentesca
Un testo di don Giussani del 1964
Gioventù Studentesca non è innanzitutto un’associazione: G.S. è un movimento.
Per comprenderlo occorre afferrare bene i principi che lo fanno nascere.
Schematicamente essi si possono così elencare:
Schematicamente essi si possono così elencare:
1) Il dovere della testimonianza nel proprio ambiente scolastico. La testimonianza, in genere, indica quanto ideale uno possiede e quanto cerca di metterlo in pratica.
La testimonianza cristiana è, quindi, l’espressione della quantità di cristianesimo (convinzione e vita) presente in un individuo.
La testimonianza si attua nella sua interezza, come diceva Gesù, «di fronte al mondo», cioè di fronte alla società umana, varia e vasta, esterna ai luoghi della nostra origine personale: famiglia e Chiesa parrocchiale.
Qual è il primo luogo e il primo momento in cui l’individuo che cresce si incontra in modo cosciente e sistematico col «mondo» esterno? Per chi va a lavorare è il luogo dell’apprendistato, per chi studia è l’ambiente scolastico; per gli uni e per gli altri è l’età in cui s’inizia lo sviluppo verso la virilità, cioè fra i tredici, quattordici, quindici anni. La quantità di cristianesimo presente in un adolescente è indicata, perciò, dal modo con cui vive la sua convinzione religiosa nell’ambiente scolastico.
Si può allora concludere che un termometro infallibile per giudicare l’efficienza di un’educazione cristiana ricevuta in famiglia o in parrocchia è osservare come lo studente sia cristianamente attivo nel suo ambiente scolastico.
2) La testimonianza cristiana è essenzialmente comunitaria.
C’è un concetto ristretto al «buon esempio» che è la convinzione individualistica, e un po’ farisaica, della vera testimonianza cristiana. Il cristiano cerca per forza – cioè per amore – di essere «insieme». Il cristianesimo, infatti, è «Chiesa».
La testimonianza nell’ambiente scolastico deve presentarsi proprio come l’unità di tutti coloro che affermano Cristo. Se uno si presenta solo, ignorando e non curandosi dei legami con i suoi fratelli di fede, testimonia un cristianesimo monco, unilaterale e destinato al naufragio e all’infecondità. Segno perciò di vera testimonianza è se lo studente cristiano si preoccupa di ricercare i compagni di ideale che sono nella sua scuola, se si preoccupa di stringere amicizia con essi, di vivere con essi l’impegno con Cristo che li accomuna.
In fondo, si può concludere che non c’è vera testimonianza cristiana se non è «carità», quella carità che immediatamente lega tra loro i seguaci di Cristo.
3) Trovare nell’ambiente scolastico una comunità presente e viva, che testimonia Cristo, è condizione indispensabile perché lo studente acquisti una convinzione vera e completa.
Fino a tredici o quattordici anni il ragazzo accoglie il fenomeno religioso per tradizione: perciò le fonti della sua religiosità sono famiglia e parrocchia (Chiesa e Associazione). Dopo i tredici o quattordici anni il ragazzo si apre alla realtà in modo impressionante, e attende dalla realtà nuova in cui si introduce (dall’«ambiente») il verbo della verità, perciò, se l’ambiente che frequenta convalida quello che ha ricevuto da casa, allora la «tradizione» diventa «convinzione»; altrimenti se nell’ambiente scolastico trova l’opposto di quello che ha ricevuto, o semplicemente non ve lo trova confermato, allora la «tradizione» perde la stima del ragazzo e gli diventa una cosa astratta e lontana.
Ecco perché, spesso, ragazzi ottimamente educati a casa e in associazione, inspiegabilmente, più o meno rapidamente, perdono quota e, magari – con meraviglia dolorosa di assistenti e di genitori – si scostano dai sacramenti, o almeno non si presentano più decisi e convinti.
Occorre che il ragazzo della scuola media superiore trovi Cristo presente dentro il suo ambiente scolastico. Occorre che nello stesso ambiente scolastico incontri Cristo come principio capace di illuminare le coscienze e i problemi; occorre soprattutto che nel suo ambiente scolastico incontri Cristo come qualcosa che lo aiuti ad agire e affermare se stesso, come qualcosa che non sia così strano da non poterne parlare o così dimenticato da vergognarsene.
Ma in che modo, con quali mezzi Gesù Cristo potrà essere presente in quell’ambiente scolastico che, nei suoi elementi (professori, libri, compagni), è così indifferente e ostile? La risposta è data dall’ultimo motivo che sta alla radice di G.S.
4) Cristo potrà essere reso presente ed efficace nell’ambiente scolastico solo dagli studenti stessi. La ragione sta nello stato d’animo caratteristico della loro età. È l’età in cui cominciano a diventare persone, uomini, e perciò incominciano a voler giudicare da sé. Professori, libri, conservano ancora un po’ l’aspetto autoritario tradizionale. Per gli studenti ciò che più influisce sono i loro compagni stessi, il tono, le impressioni del loro stesso gruppo. Poniamo che un professore dica un’idea anticristiana: se la classe come tale disapprova, il singolo non se ne sente turbato; se la classe si dimostra impressionata, il singolo ne prova una crisi di coscienza.
Tocca agli studenti stessi rendere presente ed efficace il cristianesimo nel loro ambiente.
Ma dire questo non è forse dire che la presenza di Cristo nella scuola dipende dalla loro testimonianza comunitaria? Esattamente. La logica stringente della G.S. si conclude in modo mirabile proprio così: gli studenti cristiani debbono rendere testimonianza comunitaria per lealtà a Cristo e coerenza col loro Battesimo e la loro testimonianza comunitaria diventa poi il mezzo supremo che cambia, prima di tutto loro stessi, da cristiani per tradizione in cristiani per convinzione.
(Luigi Giussani, Porta la speranza. Primi scritti, Marietti)