Commozione, vita quotidiana e servizio: i tre punti tracciati dall’Arcivescovo

Pubblicato giorno 10 settembre 2016 - Arcivescovo, In home page

Omelia di mons. Arcivescovo Mons. Filippo Santoro

durante la Concelebrazione Eucaristica per l’inizio dell’anno pastorale 2016/2017

San Giovanni Rotondo, 10 settembre 2016

Cari Fratelli e Sorelle,
cominciamo con gioia un nuovo anno pastorale. La gioia, insieme con la pace sono i sentimenti che nascono dalla presenza del Risorto in mezzo a noi. Gesù è presente in questo pellegrinaggio. Egli si fa prossimo nel nostro cammino, come per i discepoli di Emmaus ci trasforma da viandanti pensierosi in pellegrini veri. Il Signore ci svela il senso delle Scritture, ha pazienza con noi, ci ascolta e ci parla, si adegua al nostro passo. Dandoci un senso, Egli ci dona un fine, una mèta e in questa Eucarestia, man mano, si lascia riconoscere dai nostri occhi all’inizio sempre incapaci di scoprirlo. I cuori ardono nel mentre ci rendiamo conto che è bello far parte di una Chiesa viva e guidata dal suo Maestro. Così chiediamo a Dio di trasformarci in missionari; da questa messa, da ogni messa, dobbiamo uscire con una novità che sconvolge e cambia il mondo: davvero il Signore è risorto, lo abbiamo incontrato!

Stiamo ancora vivendo il Giubileo della Misericordia, una grande occasione che il nostro amato papa Francesco (al quale va il nostro saluto e la nostra preghiera) ha voluto dare al mondo intero per riscoprire il volto tenero del Padre verso i suoi figli. Riceviamo misericordia, viviamo di misericordia e pratichiamo misericordia. Come dice il tema di questo nostro pellegrinaggi: in cammino nella misericordia!
La Provvidenza oggi ci ha fatto rileggere proprio il brano che ho voluto commentare nel giorno dell’apertura della Porta Santa nella nostra antica cattedrale lo scorso dicembre.
La parabola del Padre misericordioso ci schiude il cuore stesso di Dio, mostra all’uomo l’universo della misericordia, che non è fatto solo di perdono, ma di tenerezza, di compassione, di solidarietà di gioia per i figli che ritornano.
Il quel “presto portate il vestito più bello” leggo un amore impaziente che non sopporta di vederci abbruttiti dal peccato e dalla lontananza da casa. È Dio il vero prodigo della parabola. È il Padre che spreca ogni cosa in questa parabola. È vero, il figlio minore sperpera i beni e apre le porte al peccato, ma il suo papà non guarda nemmeno alle cose materiali e sovrabbonda nell’amore. La misericordia è un amore oltremisura che mette in crisi le nostre piccole giustizie umane. Non riusciremo mai a comprendere il Dio di Gesù Cristo fin quando viviamo da servi e non da figli. Il figlio maggiore non parla infatti come un figlio grato e affettuoso ma come un funzionario invidioso e infelice.
L’incipit, l’inizio, del vangelo di oggi è sintomatico: Gesù parla a tutti e a ciascuno. Tutti sono destinatari della Misericordia. Se ci meravigliamo del fatto che Dio parla al cuore dei peccatori (nel vangelo si fa riferimento a peccatori pubblici che destano scandalo) paradossalmente la pensiamo come il fratello maggiore, come il mondo e non come pensa Dio. Così come ipocritamente corriamo il rischio di sentirci migliori degli altri, sani, non bisognosi della guarigione, e così ci escludiamo dall’abbraccio del Signore!
Questi due mesi di Giubileo che rimangano ci servano per diventare seriamente Misericordiosi come il Padre per Camminare nella Misericordia.

L’anno pastorale che cominciamo sarà ancora il tempo propizio per vivere la misericordia celebrata nel tempo giubilare, sarà l’inizio di un’importante sedimentazione della semina del Giubileo, che non si configura come una parentesi nella vita ecclesiale, ma come una vera e propria trasfigurazione della Chiesa. È con questo spirito che raccolgo le tre parole da consegnare alla nostra arcidiocesi di Taranto per questo anno pastorale 2016-2017. Dal setaccio del Grande Giubileo della Misericordia consegno per prima a voi la parola “commozione”.

1. Commozione
Approfondendo la Misericordia non è mai mancata l’occasione di rimarcare che è riduttivo parlare di essa conferendole il solo significato di perdono gratuito. La Misericordia infatti ci racconta la tenerezza di Dio, la sua delicatezza, il suo modo di chinarsi verso di noi e attirarci con legami di bontà e di mansuetudine. Incontrando la Misericordia noi conosciamo un padre premuroso e desideroso della nostra felicità.
Il Signore per guarirci tocca le nostre ferite, le nostre malattie, le nostre fragilità. Alla luce del grande mistero di Dio che tocca il peccato per risanarci, ci importa qui riportare il come Dio non solo ci raggiunge con il suo tocco, ma si lascia toccare da noi e si fa coinvolgere da noi. Le nostre sofferenze e le sofferenze di ogni uomo riguardano Dio, perché ad esse non è estraneo, con esse entra in contatto. Egli ci incontra e si lascia incontrare da noi. Le viscere paterne e materne di Dio fremono di compassione per il piccolo Israele, così infatti ci insegna la Bibbia.
Dio nella schiavitù del suo popolo in Egitto ascolta il grido del suo popolo, si commuove per la sua afflizione e decide di liberarlo (Es. 3). Dice anche il profeta Isaia. “Egli è grande in bontà per la casa di Israele. Egli ci trattò secondo la sua misericordia” (Is 63, 7). E Geremia, il profeta, aggiunge: “Ti ho amato di un amore eterno, (ho avuto pietà del tuo niente), per questo continuo ad esserti fedele” (Ger 31, 3).O come dice il profeta Osea: “Come potrei abbandonarti Efraim, come consegnarti ad altri Israele? … Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione” (Os 11, 8). Ed il Padre della parabola di Gesù si muove ad abbracciare il figlio che ritorna. La Carità di Dio per l’uomo è una commozione. Dio si è commosso per il nostro niente, per la nostra meschinità. La commozione di Dio è una passione, esattamente la passione di suo Figlio, Gesù.
Anche per noi la parola commozione ha in sé il duplice valore del toccare e lasciarsi toccare, fremere, lasciarsi, in un certo qual modo, ferire dagli eventi (i migranti, le guerre, il drammatico incidente ferroviario tra Andria e Corato, le tante vittime del terremoto, la triste vicenda del caporalato nella nostra terra, ecc.), come anche di muoversi e muoversi insieme, agire. Non possiamo cominciare questo nuovo anno pastorale vivendo e facendo le cose in maniera tiepida, ripetitiva. Il nostro anno comincia con “passione”. Non è possibile celebrare messe, fare incontri, iniziative in maniera formale, tiepida, schematica. Cominciamo con passione. Guardando ed accogliendo l’amore di Dio. E’ necessaria un’azione, non solo un sentimento. Lasciarsi commuovere significa patire una gioia o un dolore degli altri e muoversi. È un aspetto fondamentale del nostro essere cristiani.
Ci differenzia anche da una certa mentalità mondana, più avvezza all’emozione che alla commozione vera e propria. Oggi si vive di emozione, si ricercano emozioni, si procurano emozioni. Tanti purtroppo vivono una fede fatta di emozioni. Una fede emozionale e sentimentale in realtà è una fede statica, china su stessa, talvolta banale patetica, che non da sapore al mondo nel quale siamo chiamati a vivere. Questo tipo si passione non ha nulla a che vedere con la passione di Cristo che non è un vuoto sentimento, ma abbraccia il sacrificio, il dolore, come testimonianza dell’amore vero.
Molti cercano anche esperienze e modalità di preghiera che appaghino la sete di emozioni e poi non riescono fare il salto di qualità della disponibilità al piano di Dio e dell’obbedienza al Signore dell’ universo e quindi alla sua legge.
La nostra fede è piena di commozione perché è sostenuta da un fatto più grande di tutte le montagne del mondo: la morte e resurrezione di Gesù per la nostra vita; un fatto che è un amore grande che ci muove: è tenero, forte e concreto.
Quando Dio tocca/commuove il nostro cuore, è impossibile non sentire il fremito per i fratelli, l’appartenenza alla propria chiesa diocesana, alla parrocchia, al movimento, all’associazione, alla confraternita. La commozione è un muoversi verso l’altro ed è un muoversi insieme. La commozione non è un impegno di semplice buona volontà, ma è l’esperienza dell’amore di Cristo che quando è guardato ed accolto rende più umana la vita.
Partendo di qui vorrei raccogliere dal Giubileo Straordinario della Misericordia una seconda parola che ci guiderà quest’anno: è la vita quotidiana, perché l’infinito amore di Dio ci raggiunge nel quotidiano e ci cambia.

2. Vita quotidiana
Al tempo della grande semina deve seguire quello della sedimentazione. È una parola che fa paura all’uomo contemporaneo e noi che siamo sempre figli del nostro tempo possiamo essere tentati da una suggestione negativa dell’ordinarietà specie se intesa come routine. La routine infatti è il terrore di ogni rapporto specie se affettivo. Vorrei comunicarvi la ricchezza della seconda parola a partire dal cuore della preghiera del Signore, il Padre Nostro. Nel centro della preghiera che Gesù ci ha insegnato vi è infatti la richiesta: dacci oggi il nostro pane quotidiano. Voglio soffermarmi sull’aggettivo quotidiano. È il pane essenziale, quello di cui abbiamo bisogno nella giornata, un pane diverso dagli altri pani perché sigla una rapporto di fiducia e di provvidenza con chi ce lo dona. Saper ricevere questo pane vuol dire vivere bene il Vangelo, di un rapporto che cresce giorno per giorno, attraverso una frequentazione quotidiana appunto, non episodica, non straordinaria, ma duratura. È come se questo pane che sappiamo di ricevere alimentasse il nostro quotidiano: i rapporti familiari, il nostro impegno nel lavoro, il nostro impegno sociale. Non sono esperienze sporadiche ma il nostro vivere. La fede con semplicità e naturalezza deve irrigare il quotidiano e per far questo abbiamo bisogno nelle nostre comunità di riscoprire una ferialità che talvolta perdiamo di vista.
Qualche volta mi è capitato di sconsigliare i parroci dall’organizzazione di troppe cose che non afferiscono ad un cammino ordinario di parrocchia. La motivazione pastorale è proprio questa: l’ordinarietà, la semplicità, la ripetitività della vita parrocchiale è la garanzia di una fede stabile e duratura. Con ciò non voglio mortificare slanci di creatività e di azione specie in ambito caritativo ma voglio indicarvi la ferialità della quale è permeato tutto il Vangelo. Ma quando e come il quotidiano cambia? Quando si fa un paragone tra la nostra vita e la proposta di Cristo che ci raggiunga attraverso la Chiesa. Questo paragone non è teorico e non lo può fare nessuno al posto mio. Dice San Paolo: “Sia che mangiate, sia che beviate sia che facciate qualunque altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1Cor 11, 31). L’azione più semplice è messa in rapporto col Mistero. Nelle immagini feriali delle parabole sono nascosti il tesoro e la perla. Di conseguenza il modo di curare i rapporti quotidiani, la preghiera quotidiana, per tanti anche la messa giornaliera, è la sicura osmosi che la fede alimenti la vita. Così si è cristiani sempre, in autobus, sul posto di lavoro, a scuola. Il primo luogo in cui vivere la missione è la vita quotidiana; è qui che siamo chiamati a consumare la suola delle scarpe non sui banchi delle Chiese dove non incontriamo la gente comune che per tante ragioni si è allontanata dalla Chiesa. Non dimentichiamo che il Regno di Dio è vicino a noi, e noi non ce ne accorgiamo, perché lo aspettiamo chissà da dove ma il Signore è qui; è dove uno è. La ferialità è la vita che si svolge fuori dalla parrocchia e la maggioranza dei fedeli, circa il 98% è fatto di laici che vive in casa, al lavoro, nella scuola, in fabbrica. Papa Francesco ci mette in guardia dal clericalismo dei laici che si sentono appagati dal fare una lettura o una funzione in più che prima era fatta dai preti e da religiosi o religiose. Lo spazio del vero protagonismo dei laici è, come dice il concilio la sua “indole secolare”, la vita quotidiana dal famiglia al lavoro, dalla economia alla politica. Questo porterà ad un vero cambiamento della società e qui hanno un compito particolare i nostri giovani, che sono venuti numerosi e che salutiamo.

La prima verifica di un efficace rapporto con Dio è proprio il cambiamento in meglio del luogo in cui si vive, dalla qualità dei rapporti, dalla capacità di ciascuno di sapersi coinvolgere nei contesti nei quali la Provvidenza lo ha chiamato a vivere. Se il Signore non ha disdegnato di raccontarci il Regno attraverso la vita familiare (una donna che spazza la casa o che impasta il pane), immagini bucoliche (pastori, pecore, una chioccia che raccoglie intorno a sé i suoi pulcini), anche noi dobbiamo guardare alla famiglia, al nostro posto di lavoro con lo stesso sguardo che rivela il Regno, guardiamo alle nostre attività come il luogo nel quale dobbiamo scoprire Dio, incontrarlo e seguirlo.

È giusto ricordare qui, in San Giovanni Rotondo, come la vita di Padre Pio sia diventata un faro acceso ancora per noi oggi. In un luogo brullo e desolato dove un frate ha fatto bene il suo ministero di uomo di preghiera, di confessore e dove celebrava bene la sua messa quotidiana è possibile ancora oggi fare esperienza di Dio. In quattro mura di calce, nella semplicità del suo convento, con la corona in mano del rosario, dalla quale non si separava mai come tante delle nostre vecchie nonne che ci hanno insegnato ad amare Maria, il frate di Pietrelcina, con il suo quotidiano è diventato per noi un intercessore potente, l’immagine vivente del Crocifisso in mezzo agli uomini.
Cari fratelli e sorelle, nell’ordinario di ciascuno è nascosta la straordinaria presenza di Dio. E della vita quotidiana quest’anno sottolineeremo in particolare due aspetti: la famiglia ed il lavoro. Della famiglia riprenderemo l’esortazione apostolica di Papa Francesco Amoris Laetitia che pi parla della gioia dell’amore come dilatazione del cuore e dono gratuito di sé. Del lavoro come la condizione normale in cui si sostiene la famiglia, si realizza la nostra persona e si costruisce la società.
Abbiamo il compito di vivere la bellezza della nostra fede e di comunicarla. Questo è il primo ambito della missione. Rivelare ogni giorno l’amore di Cristo, meravigliarci, insegnare lo stupore a partire da ogni palpito del cuore, di ogni respiro, in tutto ciò è presente in modo misterioso la volontà di vita che Dio ha per noi. D’altronde non possiamo non notare che in un pezzo di pane, il più semplice elemento di sostentamento, la metafora dell’essenziale necessario per vivere ogni giorno, Dio ha messo l’eternità! L’Eucarestia è sì il pane quotidiano, il pane ordinario, ma quello che mangiandolo ci sostiene per la vita eterna!
L’ultima parola che consegno alla comunità diocesana è servizio.

3. Servizio
Da degni seguaci del Maestro non siamo costituiti per essere serviti, ma per servire. È il Maestro che ci da l’esempio e lava i piedi ai discepoli, lava loro i piedi perché li ama. Talvolta noi, come Marta, perdiamo di vista il motivo per il quale facciamo parte della Chiesa. Noi vi facciamo parte perché desideriamo stare con Gesù. È lui la parte migliore di tutto. Il Signore ha promesso che noi saremo con Lui se lo seguiremo in tutto: là dove sarò io sarà anche il mio servo.
Il servizio quindi non si esaurisce in un compito, in una mansione, noi serviamo per vocazione, per amore.
Ricordiamo la nostra Cara nuova santa Madre Teresa che a un giornalista che la interrogava sulla differenza tra lei e gli operatori sociali rispondeva semplicemente: “noi amiamo Gesù”. Agli uomini rendiamo un servizio quando permettiamo a Gesù di parlare al loro cuore. Gli uomini cominciano a sperimentare il Signore quando incontrano la gratuità, l’assenza di tornaconto morale e materiale. Il servizio per i cristiani è questa volontà consapevole di perdere il mantello e la tunica e di metterci il grembiule, perché il cristiano ama concretamente come ha fatto Gesù.
Il nostro territorio diocesano ci interpella su tanti fronti. Abbiamo sicuramente un dovere di servizio verso la verità, nel senso che dobbiamo lavorare sempre per le coscienze, lasciandoci provocare e cercando di dire sempre una parola di speranza. Penso infatti a questi anni in cui tanto si è detto sul diritto alla vita, alla salute, all’ambiente pulito. Purtroppo non possiamo non registrare ancora forti inquietudini dovute alla connessione fra inquinamento e mortalità. L’attuazione dell’Aia (Autorizzazione Integrale Ambientale) rimane urgente e prioritaria a partire dalla copertura dei parchi minerali dello stabilimento siderurgico. Spero e prego e cerchiamo tutte le vie perché si possa giungere ad una inversione di tendenza nei dati recentemente pubblicati circa la salute dei tarantini, e che il dramma dei wind day appartenga presto al passato. Nei prossimi giorni, nella visita del Ministro dell’Ambiente alla nostra città, non mancherà da parte mia, nel rispetto delle istituzioni, un appello accorato per accelerare i tempi del risanamento.
Il nostro territorio diocesano ci interpella su tanti fronti. Abbiamo sicuramente un dovere di servizio verso la verità, nel senso che dobbiamo lavorare sempre per le coscienze, lasciandoci provocare e cercando di dire sempre una parola di speranza. Penso infatti a questi anni in cui tanto si è detto sul diritto alla vita, alla salute, all’ambiente pulito.
Penso all’apporto che può dare la voce della Chiesa diocesana alla grandissima sfida del lavoro, che sembra sempre alzare la posta a aumentare la fila di persone che chiedono aiuto al vescovo e ai parroci. Anche se una svolta verso tempi di stabilità e di serenità stenta a venire, da uomo di fede, vedere tante attenzioni nei riguardi di Taranto, di un cambio di consapevolezza e di mentalità da parte dei tarantini, mi fanno essere più fiducioso.
Aldilà delle possibili considerazioni sociologiche, la Chiesa diocesana vuole mettere in campo concretamente quello che può a servizio dei più poveri. Sta per finire il Giubileo e si avviano quindi alla conclusione i lavori di Palazzo Santacroce che tutti insieme abbiamo sostenuto e dobbiamo sostenere ancora. Presto spero di inaugurare quindi questa struttura per l’accoglienza notturna dei senza fissa dimora, con vari confort di prima accoglienza e una nuova mensa per la città. Prima ancora dell’inaugurazione vi invito a pensare di dedicare del vostro tempo a servizio dei poveri.
Faremo dei piccoli corsi di formazione dei volontari ai quali spero prenderete parte. Chiedo a tutti dai giovani ai meno giovani di voler mettere in pratica il servizio. La Provvidenza ci dona la possibilità di dare concretamente aiuto a chi ha bisogno. Garantisco a tutti il risultato: vi sarà più gioia nel dare che nel ricevere!
Anche il monastero Gesù Divin Sacerdote donato dalle nostre monache carmelitane va trovando via via la sua collocazione nell’accoglienza dei migranti anche se di impegnativa gestione perché richiede competenza e piena sintonia con le istituzioni alla quale non vogliamo mai venire meno.
A tal proposito sono felice di poter annunciare la concretizzazione di un protocollo d’intesa fra il Tribunale dei Minori di Taranto, il Comune di Taranto e l’Arcidiocesi circa la possibilità di aver in affido temporaneo i migranti minori non accompagnati nelle famiglie che lo desiderano e che ne avranno i requisiti indicati dal Tribunale. Presto attiveremo per questo l’ufficio di pastorale familiare della diocesi per darvi ulteriori informazioni.
Noi già in una nostra struttura a Martina Franca accogliamo diversi minori non accompagnati. È una bella esperienza di carità che stiamo portando avanti con discrezione, ma con tutta professionalità e generosità richieste. La proposta che mi viene dal Tribunale dei Minori è un’ulteriore opportunità di bene che ci viene offerta che va nella direzione di accoglienza proposta dal Santo Padre, ovvero l’accoglienza nella famiglie. È una formula già collaudata l’affidamento temporaneo di bambini e ragazzi extracomunitari in famiglia che è motivo di gioia e attuazione della più giusta e serena integrazione.
Vorrei in ultimo, alla voce servizio, ricordarvi la colletta per le persone e i luoghi colpiti dal terremoto, fissata dalla Cei per domenica 18 settembre. Conosco la vostra generosità e non c’è bisogno di ulteriori raccomandazioni. Fra le vittime del terremoto vi era anche una suora di San Simone – Crispiano, suor Anna, la ricordiamo oggi nell’Eucarestia che celebriamo.

Cari fratelli e sorelle,
circondati da un nugolo di testimoni: la Madonna della Salute, San Cataldo, San Francesco De Geronimo, Sant’Egidio Maria, San Pio, Santa Madre Teresa e tutti i nostri patroni, cominciamo così il nostro anno pastorale, tenendo lo sguardo fisso su Gesù unico perfezionatore della fede. In cammino nella misericordia, serviamo il Signore nei nostri fratelli e sorelle; e, con gioia e commozione, manifestiamo nella vita di ogni giorno la grazia immensa che ci è stata data.
Vi abbraccio e vi benedico tutti.

+ don Filippo Santoro