XI Anniversario morte di Don Luigi Giussani

Pubblicato giorno 23 febbraio 2016 - In home page

XI Anniversario della morte del servo di Dio Mons. Luigi Giussani, 21 febbraio 2016, parrocchia S. Rita, Taranto.

Omelia Mons. Filippo Santoro:

1. “Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante” (Lc 9,29).
In questa seconda domenica di quaresima la liturgia ci presenta la trasfigurazione di Gesù che offre ai suoi tre discepoli un segno luminoso della sua gloria sul monte Tabor. Poco prima aveva parlato loro della sua morte e risurrezione per opera degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi (Lc 9, 22). Ed i discepoli erano andati in crisi; per superare la crisi il Signore mostra un segno della sua gloria e davanti a Pietro ,Giovanni e Giacomo si trasfigura.
Celebriamo oggi l’XI anniversario della morte di Mons. Luigi Giussani e questa pagina del vangeli ci rivela quale è stata la missione di questo servo di Dio: svelare il volto vero delle cose e farci appassionare al volto luminoso di Cristo. Una luce nuova nelle circostanze concrete della vita, nel quotidiano, nella società, nei problemi, non fuori, ma nel cuore della realtà.

In una situazione drammatica in cui la fede cristiana in molti ambienti non era considerata ragionevole e pertinente alla vita don Giussani ha avuto un carisma speciale nel mostrare alla Chiesa e al mondo il valore del cristianesimo come trasfigurazione della realtà. Ci diceva: «Noi cristiani nel clima moderno siamo stati staccati non dalle formule cristiane, direttamente, non dai riti cristiani, direttamente, non dalle leggi del decalogo cristiano, direttamente. Siamo stati staccati dal fondamento umano, dal senso religioso. Abbiamo una fede che non è più religiosità. Abbiamo una fede che non risponde più come dovrebbe al sentimento religioso; abbiamo una fede cioè non consapevole, una fede non più intelligente di sé. […] Cristo è la risposta al problema, alla sete e alla fame che l’uomo ha della verità, della felicità, della bellezza e dell’amore, della giustizia, del significato ultimo. Se questo non è vivido in noi, se questa esigenza non è educata in noi, che ci sta a fare Cristo?”. (SAVORANA, Vita di don Giussani, X)

Racconta ancora Savorana nella biografia di don Giussani: “Una sera d’inverno, Giussani stava passeggiando nei corridoi del seminario, De Ponti gli si avvicina e gli domanda: “Ma, scusami, se Gesù Cristo è la verità, cosa c’entra con la matematica?”. …Quella domanda ha trasfigurato, nel senso letterale della parola, tutta l’intensità di pensiero e di sentimento che mi legava alle cose che facevo, ai compagni, alla regola, ai contenuti dello studio” (pp. 82-83).

Anche per molti di noi nella ricerca incerta del cuore e nella assenza di proposte soddisfacenti per la vita l’incontro con Don Giussani è stato la risposta ad una attesa e l’esaltante scoperta che ci potesse essere qualcosa di così grande nella realtà.
A me avevano parlato dell’umanesimo e del rinascimento come nuova dimensione dopo le ombre dell’età medievale e nella mia esperienza giovanile il marxismo e la rivoluzione si presentavano come l’alternativa al mondo astratto e inconcludente delle opere buone e dei valori cristiani. Non meno strana era però la proposta dominante in una certa cultura che diceva che il vero non esiste, che Dio è un’invenzione staccata dalla realtà.

Sin dall’inizio la proposta di Don Giussani riguardava la vita ed esattamente la mia vita. Cioè la vita di ciascuno di noi. E persino quando parlava del cielo era interessante, perché lo definiva la profondità della persona dove c’è il Padre. E così cambiava tutto perché quell’incontro spalancava l’intelligenza sulla vita che, si rivelava come rapporto con l’infinito e come residenza del Padre. E tutto poco a poco cominciava ad acquisire un volto, in un innamoramento di Cristo come la fonte del mio vero io. Perciò portava alla conferma della vocazione alla verginità, al sacerdozio. E quelle esperienze infuocate di poeti, di scienziati di pagani, atei e cristiani mi facevano ardere il cuore come la testimonianza di Laurentius Eremita: “Mi fu detto: tutto deve essere ricevuto e custodito nel silenzio. Pensai allora che forse tutta la mia esistenza sarebbe trascorsa nel rendermi conto di ciò che mi era accaduto. E il tuo ricordo mi riempie di silenzio”.
Per questo, quando eravamo con Don Giussani, avremmo ripetuto le parole di San Pietro” Maestro è bello per noi essere qui”. E le ripetiamo anche ora e sono vere; ci riempiono il cuore perché lui non rimandava a se stesso, ma a Cristo che Pietro, Giovanni e Giacomo hanno visto.

2. Sempre ci indicava il metodo del seguire: “Questo è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”. E Il Gius ci sollecitava, col bellissimo canto di Jacopone da Todi a non perdere tempo
Troppo perde il tempo ki ben non t’ama,
dolc’amor Jesù, sovr’ogni amore.

Amor, cki t’ama non sta otioso,
tanto li par dolce de Te gustare;
ma tutta sor vive desideroso
come te possa strecto più amare;
Avendo a cuore l’unità come il segno supremo della presenza del Signore, in cui lui ci stringe i fianchi ed il rapporto con l’autorità che guida ora il movimento come il punto storico di riferimento di una compagnia guidata al destino.

3. E poi ci indicava il cammino della missione non come fatto strategico, ma come presenza nel quotidiano di quell’esperienza della trasfigurazione. E così la missione ci è rimasta nel cuore come qualcosa che va dal piccolo particolare dell’istante sino ai confini della terra.

Per questa ragione, quando don Giussani nell’anno del trentennale della nascita del movimento, nel 1984, mi ha chiesto: “Ma tu andresti volentieri in missione in Brasile?” gli ho detto di subito sì. Per la familiarità con un volto che mi manifestava i segni della trasfigurazione. E sono partito per il Brasile.
Quella bellezza e quella verità mi hanno mosso con la promessa a cui don Giussani mi aveva spalancato perché la viveva lui; la stessa fatta ad Abramo: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle…. Tale sarà la tua discendenza» (Gen 15,5). E Giussani lascia i piani che avevano su di lui di una brillante carriera teologica e va al Berchet e poi per il resto della vita segue il disegno di un altro. E noi con gratitudine siamo stati e siamo partecipi della stessa vita; di una grazia che non si può misurare.